Nella regione Campania, tra i numerosi vini prodotti, l’Asprinio è sicuramente quello più riconoscibile. Non solo per il carattere “aspro” da cui deriva il suo nome, ma soprattutto perché ha una storia secolare documentata da fonti storiche e citazioni letterarie. Infatti, ci sono diverse testimonianze documentali che parlano del vitigno e del vino Asprinio, nonché dell’area tipica di coltivazione e produzione, la pianura a nord di Napoli. Alcuni documenti risalgono addirittura alla fine del 1400, come un atto notarile del 1495 che riguardava un contratto di affitto di un podere a Caivano, che prevedeva anche la fornitura di due vasi di vino, uno di Asprinio e uno di Verdesca, oltre al reimpianto delle uve nere con uve Verdesche e Asprinie. Un altro documento del 1584 riporta la resa di 332 ducati per la produzione di 103 botti di vino.
Sull’origine del vitigno sono state formulate diverse ipotesi. Secondo la tradizione popolare, la coltivazione dell’Asprinio nella zona risalirebbe ai primi del 1500. Si dice che Luigi XII di Valais, Re di Francia, importò dalla Francia una certa quantità di vitigni che fece piantare nelle terre del Casertano, ottenendo così l’Asprinio. Tuttavia, non ci sono prove storiche a supporto di questa teoria.
A conferma dell’antichità di questo delizioso prodotto enologico, va ricordato che un’Assisa del vino del 15 febbraio 1640 riporta che il prezzo dell’Asprinio era di denari nove la caraffa, corrispondenti a circa un litro di vino. Questo testimonia l’apprezzamento che il vino Asprinio ha sempre suscitato nel corso dei secoli.
Si racconta che la Regina Carolina, moglie del Re Gioacchino Murat, rimase affascinata da questo tipico prodotto partenopeo. In una lettera scrisse: “Questa è la terra promessa, nella campagna si vedono festoni di viti attaccati agli alberi con grappoli di uva molto più belli di quelli che gli Ebrei portarono a Mosè. Spero che quanto ti dico ti ispiri il desiderio di venire a vedere questo paese, vale la pena di fare cinquecento leghe per vederlo”.
L’Asprinio potrebbe avere origini ancora più antiche, risalenti agli Etruschi. Ancora oggi, infatti, il vitigno viene coltivato tradizionalmente su alberi monumentali, seguendo un metodo di allevamento che sembra derivare da questa misteriosa popolazione. Le viti si arrampicano fino a circa 15 metri di altezza, sposandosi con pioppi o olmi, formando imponenti barriere verdi cariche di grappoli. La raccolta dell’uva avviene su altissime scale, proprio come in un vero matrimonio, celebrato in un periodo preciso dell’anno.
Columella, un autore romano del XVIII secolo, scriveva: “Prima che l’albero abbia raggiunto tutta la sua forza, bisogna piantare anche la vite. Se si sposa un olmo ancora giovane, non sarà in grado di sostenere il peso. Se, invece, si affida la vite a un olmo vecchio, quest’ultimo ucciderà la sua sposa”. Questo testimonia l’importanza dell’alberatura nella coltivazione dell’Asprinio.
Plinio il Vecchio, un famoso scrittore, ammiraglio e naturalista romano, descriveva l’Asprinio come un vino prodotto dalle vigne che si abbracciavano agli alti pioppi. Anche l’archeologo italiano Amedeo Maiuri sottolineava l’importanza dell’alberatura nella produzione di questo vino, affermando che le viti abbracciavano gli alti pioppi e le uve erano particolarmente ricche di mosto e di vino arbustivo.
L’uso dell’alberatura risale a tempi antichi e già nel secondo secolo, in un testo paleocristiano chiamato “Il pastore d’Erma”, si fa riferimento al legame tra la vite e l’olmo. Si diceva che la vite non poteva dare frutti in abbondanza se non si arrampicava sull’olmo, e che il frutto marcirebbe se non fosse sospeso all’albero.
Ancora oggi, il paesaggio della zona è dominato da queste alberate, spesso disposte ai margini dei campi, dove le viti vengono piantate senza bisogno di sostegni, in gruppi di 3-4 ceppi.
Questa è la storia dell’Asprinio, un vino che porta con sé secoli di tradizione e che ancora oggi viene prodotto con passione e impegno nella sua area tipica di coltivazione. Un vino che rappresenta un pezzo importante della cultura enologica campana e che continua ad affascinare i palati di chiunque lo assaggi.